Libër: Cos’è il populismo?

Ç’farë është populizmi?

Jan-Werner Müller,176 faqe, Egea, Janar 2023

 

Populizmi është një fenomen që ndahet dhe kërkon të marrë anët. Ashtu si kategoritë e tjera politike, është e diskutueshme dhe polemikë: udhëheqësit dhe centristët janë të nevojshëm për të akuzuar idetë dhe lëvizjet e duhura si të majta, duke e bërë kundërshtimin ndaj Populizmit flamurin për ta kredituar veten si të moderuar me votuesit. Problemi është se populizmi anulon çdo pretendim të modifikimit, radikalizon sferën politike duke i bërë të gjithë populistët, nëse vetëm në propagandë dhe në stilin e fjalimit, kundërshtar dhe jotolerant. Në zemër të populizmit, në të vërtetë ekziston një refuzim i pluralizmit: kjo në bazë të së cilës populistët synojnë të qeverisin është pretendimi i një përfaqësimi moral ekskluziv të asaj që ata e konsiderojnë “njerëzit e vërtetë”. Dhe nëse diskutimi “on” Populizmi rrezikon të bëhet një diskutim “pro” ose “kundër” për të, libri i Müller ka meritën e kontribuar në bërjen e kategorisë së populizmit më pak të rastësishme. Duke u bërë një klasik në mesin e studimeve bashkëkohore dhe të riprodhuar këtu me një parathënie të re nga autori dhe një ese të re nga Nadia Urbinati, libri na tregon se si populizmi është gjithashtu dhe para së gjithash një strategji e pushtetit dhe na fton të mendojmë për politikën demokratike Jo vetëm si një konkurs për të pushtuar shumicën, por edhe si një dialektikë politike midis pozicioneve të ndryshme. Sepse pyetja e vërtetë, sot, është në atë marrëdhënie që populizmi është krahasuar me demokracinë, limfa e së cilës ushqehet pa e ushqyer atë nga ana tjetër.

Parathënia nga Nadia Urbinati:

Një fenomen demokratik me rezultate të pasigurta

Il populismo è un fenomeno che divide e impone di schierarsi. Non diversamente da altre categorie politiche, anche questa è controversa; è inoltre polemica, usata per accusare leader, idee e movimenti politici di destra come di sinistra. È per questo molto utilizzata da leader e partiti centristi che fanno dell’opposizione al populismo la loro bandiera per accreditarsi come moderati presso gli elettori. Il problema è che il populismo vanifica ogni pretesa di moderazione. Si potrebbe dire che il populismo radicalizza la sfera politica in tutte le sue componenti, rendendo, se così si può dire, tutti populisti, se non altro nella propaganda e nello stile del discorso, che è opposizionale, a tratti manicheo, intollerante con chi non sta dalla propria parte.

La natura polemica e l’uso quotidiano che ne fan- no i mass media e i politici rendono il termine «populismo» difficile da trattare come oggetto di studio, non soltanto perché non si presta a una definizione che sia a un tempo chiara e condivisa. Anche tra gli studiosi, la discussione «sul» populismo rischia di diventare, e spesso diventa, una discussione «pro» o «contro» il populismo. In aggiunta, non essendo il populismo un regime politico ma una trasformazione interna alla democrazia rappresentativa, la sua relazione con forme autoritarie e perfino con rischi di cambio di regime re- sta un timore più che una certezza; ma, come timo- re, riesce a colorare di giudizi di valore di ogni seppur sincero tentativo analitico.

Questo libro di Jan-Werner Müller, che Egea riedita con una nuova Prefazione dell’Autore, ha contri- buito a rendere la categoria del populismo meno aleatoria. Uscito nell’edizione inglese nell’aprile del 2016, poche settimane prima della Brexit e nell’anno dell’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca, è diventato un classico tra gli studi contemporanei. Ci offre buoni argomenti per criticare la retorica manichea dei populisti e dei loro critici. Ci mostra come il populismo sia anche e prima di tutto una strategia di potere; ci invita inoltre a pensare alla politica democratica non solo come competizione per conquistare la maggioranza ma anche – e insieme – come dialettica politica tra posizioni diverse, una ginnastica di pluralismo e di tolleranza che vuole che l’opposizione sia sempre parte del processo. La democrazia come lavoro insieme di maggioranza e opposizione è quel che il populismo cerca di atterrare, esaltando solo il ruolo della maggioranza populista – ovvero del popolo «vero» come diceva Trump. Il populismo è una sfida al carattere pluralistico della politica democratica e alle sue procedure, castigate come astuzie per avvantaggiare chi è già avvantaggiato. È un tentativo, a volte riuscito, di imposessarsi delle categorie democratiche – del popolo e della maggioranza, delle elezioni e della rappresentanza. Benché non sia un regime a sé stante, ma una forma di politica e di governo parassitica della democrazia elettorale, il populismo ha il potere di trasformare nella concezione e nella pratica le istituzioni e le procedure della democrazia. È un fenomeno di «trasformazione della democrazia rappresentativa», una sfida lanciata all’«establishment» sulla rappresentanza del popolo. Internet e la trasformazione pubblicitaria e personalistica della politica, anche in seguito al declino dei partiti-organizzazione-e-partecipazione, hanno facilitato in anni recenti la scalata populistica alla democrazia.

Il populismo ha una storia. Se in Europa ha tradizionalmente attratto molto più i critici che i sostenitori, non così si può dire degli Stati Uniti, dove il termine ha avuto il suo battesimo partitico insieme alla democratizzazione, negli anni della ricostruzione dopo la Guerra civile (il People’s Party fu fondato nel 1892), e neppure dell’America Latina, dove in alcuni paesi i governi populisti hanno tentato politiche di inclusione dei diseredati e degli indigeni, anche se spesso degenerate in governi corrotti, autoritari e perfino dittatoriali. Il contesto storico e sociopolitico è un fattore importante nella comprensione del fenomeno: qui una delle ragioni che rendono arduo giungere a una teoria del populismo.

Il populismo nasce indubbiamente all’interno di società democratiche o in via di democratizzazione e, benché non determini un mutamento di regime, può tuttavia facilitare l’affermazione di forme autoritarie o maggioritariste di democrazia. In questo esso è una sfida aperta e diretta alla divisione dei poteri, all’indipendenza del potere giudiziario, ovvero alla democrazia costituzionale. Su queste componenti illiberali si è concentrata la prima generazione di studi sul populi- smo del Secondo dopoguerra.

Negli anni della Guerra Fredda e del manicheismo maccartista, per esempio, il populismo venne associato alle forme di contestazione della liberal-democrazia nelle sue tre declinazioni: il fascismo, il comunismo e l’autoritarismo (anche identificato con il peronismo). Con questo intento insieme ideologico e analitico, tra il 19 e il 21 maggio 1967 si tenne una celebre conferen- za alla London School of Economics dal titolo significativo «To Define Populism». Gli atti della conferenza (tra i cui partecipanti primeggiavano Isaiah Berlin e Richard Hofstadter) vennero pubblicati nel 1969 con il titolo Populism: Its Meanings and National Characteristics, a cura di Ghiță Ionescu e Ernest Gellner. Il metodo di questa ricerca pioneristica era essenzialmente storico, con ampio spazio ai fenomeni russo e americano ottocenteschi, forze agrario-tradizionaliste di critica sociale della modernità e dell’universalismo illuminista.

Una rinascita di interesse e un nuovo corso di studi più attento alla dimensione politica e al rapporto con le istituzioni democratiche si ebbe alla fine della Guerra Fredda, quando nuovi paesi si affacciarono alla democrazia costituzionale nelle aree geopolitiche del mondo fino ad allora sottoposte all’influenza diretta e/o indiretta dell’Unione Sovietica, come l’Europa dell’Est e l’America Latina. Esemplificativo di questa nuova stagione di ricerca teorico-comparatistica fu un altro volume collettaneo importante, Democracies and the Populist Challenge, pubblicato nel 2002 a cu- ra di Yves Mény e Yves Surel. Negli ultimi due decen- ni si sono succeduti importanti lavori monografici, sia teorici sia di scienza politica comparata e storica, con un nuovo impulso teso a studiare il linguaggio populi- sta, le strategie di conquista del potere e di propagan- da, i rapporti con le procedure democratiche e la rap- presentanza politica, i contenuti sociali delle politiche populiste e infine la struttura dei movimenti populisti (rilevanti i lavori di Pierre-André Taguieff, Margaret Canovan, Paul Taggart e Kurt Weyland).

Fino ad anni recenti, tuttavia, e con precisione fino alla pubblicazione del libro più importante di Ernesto Laclau, On Populist Reason nel 2005, l’attenzione verso il populismo è stata generalmente più forte presso gli studiosi che lo consideravano un problema o una degenerazione della democrazia. Per la minoranza di difensori, le virtù del populismo includono: l’essere «democrazia della gente comune» o delle classi underdog contro la politica istituzionalizzata; e la concezione della sovranità popolare come sostanza del corpo politico che ha valore supremo, oltre le istituzioni e i sistemi di controllo. Il consenso elettorale è autorità suprema, contro e sopra le norme costituzionali e le procedure democratiche. In aggiunta, il populismo come movimento di contestazione del potere costituito e delle maggioranze formate da partiti tradizionali insiste su alcune chiavi retoriche riconoscibili: la spontaneità del sentire politico contro quello dei «sapientoni», ovvero l’anti-intellettualismo, la critica dell’attitudine al compromesso (e quindi del parlamentarismo), l’accusa ai partiti di essere incardinati nelle istituzioni e creare un’élite auto-referenziale. Una volta al potere, tuttavia, il populismo mostra i caratteri di una marcata intolleranza, la facilità all’abuso del potere e la formazione di una nuova élite che incarna il mito del decisionismo.

Nella retorica dei suoi difensori, il populismo rappresenta una politica che rifiuta la partitocrazia e che reclama un’aura di spontaneità popolare che non dispiace ai difensori dei governi tecnocratici (della governance contro il governo), anch’essi desiderosi di sbarazzarsi della politica di parte nel nome della competenza e della politica dei «dati» oggettivi e inconfutabili che rappresentano l’interesse nazionale sopra gli interessi partitici. Ci si potrebbe anzi avventurare in un’analogia tra antipolitica populistica e antipolitica tecnocratica poiché in entrambi i casi si tratta di forme antideliberative, insoddisfatte della democrazia dei partiti; forme che vogliono stare entrambe né a destra né a sinistra, che ostentano sfiducia nelle forme rap- presentative classiche. Il libro di Christopher J. Bickerton e Carlo Invernizzi Accetti, Technopopulism: The New Logic of Democratic Politics (2021) offre una lettura molto illuminante al riguardo. L’esperienza del Covid-19 ha messo in luce questi aspetti tecnopopulisti con inattesa chiarezza, perché ha esaltato da un lato la politica della competenza che rappresenta comunque una sfida alla politica democratica; e dall’altro ha avuto l’aspetto di una rivolta contro l’establishment e la politica della moderazione prediligendo politiche antsociali nel nome di una spontaneità popolare. La storia passata e recente ci offre un’immagine proteiforme del populismo, che cambia obiettivi ma non lo stile e la sostanza, manichea e intollerante. Queste numerose e diverse caratteristiche hanno offerto agli studiosi i tasselli di un mosaico che si è assemblato negli ultimi anni.

Analisi recenti sulla crescita del fenomeno populi- sta, ovunque nei paesi democratici, hanno arricchito la nostra conoscenza mettendo a disposizione un corpo di ricerche attente non solo al contesto socioeconomico ma anche all’individuazione delle costanti che ci possono guidare nella diagnosi dell’insorgenza del populismo e nella distillazione dei suoi caratteri. Tre complesse direttrici interpretative sono oggi individuabili in relazione al populismo: come carattere ideologico, come meccanismo strategico, come contenuto socioculturale.

Il libro di Müller è parte di questa nuova e ricca stagione di ricerca, situato alla confluenza delle tre direttrici. Müller si serve, correggendola, della definizione formulata dal sociologo Cas Mudde del populismo come «ideologia sottile» (thin ideology) ovvero una base ideologica semplice che costituisce la matrice del discorso utilizzabile sia a destra sia a sinistra; questa matrice ideologica si regge sul dualismo ovvero sull’opposizione morale della purezza del popolo contro la corruzione dell’élite. Ideologia morale che i diversi gruppi politici populisti adattano alle loro «ideologie spesse», se così si può dire. Müller modifica questa lettura minimalista e sostiene che il populismo si manifesta nella pretesa di una rappresentanza legittima del popolo

Nel volume Me The People uscito nel 2019 e ispirato anche da questo lavoro di Müller, ho proposto di leggere la questione populista come una forma interna alla democrazia, che si sviluppa dentro la rappresentanza con l’intento di rivendicare l’omogeneità del popolo/nazione, che un leader incorpora attraverso una retorica divisiva. A partire da questa sfida lanciata alla rappresentanza, è agevole individuare il carattere populista della visione di popolo: con la richiesta di esclusione e stigmatizzazione delle minoranze (come succede oggi in diversi paesi europei a fronte delle migrazioni di massa) e con la domanda di inclusione nel popolo in quelle parti che sono (o sono presentate come) più svantaggiate o periferiche o non ascoltate rispetto alle élite sociali e culturali. La retorica del risentimento dei molti contro i pochi, e la retorica della denigrazione dei pochi verso i molti, indicano le due direttrici che il populismo può seguire: di destra o di sinistra.

Metodologicamente è importante distinguere tra populismo come movimento (critico o di opposizione) e populismo come potere al governo, una prospettiva che ci consente di analizzare il populismo in tutte le sue componenti: nello stile retorico, nei luoghi comuni della sua propaganda, nei suoi contenuti e scopi e infine nelle sue realizzazioni. Questa doppia condizione – di movimento e di governo – rispecchia il carattere diarchico della democrazia rappresentativa, ovvero l’eguale diritto dei cittadini a partecipare sia con la voce o la costruzione dell’opinione, sia con il voto o la formazione della maggioranza. Consenso attraverso l’opinione e consenso attraverso il voto sono le coordinate per giudicare il populismo nei suoi significati, nelle sue funzioni e nelle sue possibili conseguenze. Come la democrazia, il populismo è sia una forma di partecipazione nella società (movimento appunto), sia una forma di potere esercitato nelle istituzioni, l’esito di una maggioranza eletta.

Sia il populismo come movimento sia il populismo come governo sono «parassitici» della democrazia rappresentativa1. Tuttavia, mentre una certa retorica populista è presente in tutti i partiti (che tendono a radicalizzare le loro posizioni, particolarmente quando si avvicinano le elezioni), il populismo al governo ha alcune caratteristiche riconoscibili che possono essere in forte contrasto con la democrazia rappresentativa. Quindi, anche se innestato nell’ideologia del popolo e nel linguaggio democratico, quando diventa maggioranza, il suo governo tende a stiracchiare le regole democratiche verso un estremo maggioritarismo. È una trasformazione interna alla forma democratica di governo perché, mentre non ricusa né l’idea della so- vranità popolare né la regola della maggioranza, tende a favorire mutamenti istituzionali che possono tirare l’elastico della democrazia costituzionale fino al suo estremo, oltre il quale si avrebbe un mutamento di regime. Si potrebbe dire che la democrazia populista sta alla democrazia costituzionale come la demagogia sta alla politeia nella Politica di Aristotele: è la sua forma estrema e ultima. Benjamin Arditi ha quindi scritto molto opportunamente che, a causa della sua contestazione della democrazia parlamentare, il populismo può essere visto come la «periferia interna» della democrazia rappresentativa

Concludendo, potremmo dire che la questione del «che cos’è» il populismo ci rinvia direttamente alla questione della forma e concezione della democrazia rappresentativa, poiché la sfida populista non mira a instaurare una democrazia diretta ma a superare le intermediazioni del partito e – grazie a Internet – anche dei media professionali: una rappresentanza diretta del popolo da parte del leader. Il populismo è un capitolo della teologia politica che ci porta alle fondamenta della sovranità popolare, come nostalgia della sostanzialità del principio sovrano. La questione pressante è quindi non tanto ontologica – che cosa è il populismo – ma piuttosto genealogica, ovvero in quale relazione si trova rispetto alla democrazia della cui linfa si nutre senza tuttavia nutrirla a sua volta. La questione pressante è: «come possiamo negare che il populismo sia democratico, o una forma di democrazia, dato che non contesta la regola principe della democrazia ma ne reclama anzi la sincera affermazione?» e poi «che cosa fa essere il populismo in tensione con la democrazia benché entrambi riposino sullo stesso principio e reclamino di essere governo del popolo e attraverso il popolo?».

New York, dicembre 2022

    Thënie për Shtetin

    • Një burrë shteti është një politikan që e vë vehten në shërbim të kombit. Një politikan është një burrë shteti që vë kombin e tij në shërbim të tij.
      - Georges Pompidou
    • Në politikë duhet të ndjekësh gjithmonë rrugën e drejtë, sepse je i sigurt që nuk takon kurrë asnjëri
      - Otto von Bismarck
    • Politika e vërtetë është si dashuria e vërtetë. Ajo fshihet.
      - Jean Cocteau
    • Një politikan mendon për zgjedhjet e ardhshme, një shtetar mendon për gjeneratën e ardhshme
      - Alcide de Gasperi
    • Europa është një Shtet i përbërë prej shumë provincash
      - Montesquieu
    • Duhet të dëgjojmë shumë dhe të flasim pak për të berë mirë qeverisjen e Shtetit
      - Cardinal de Richelieu
    • Një shtet qeveriset më mirë nga një njëri i shkëlqyer se sa nga një ligj i shkëlqyer.
      - Aristotele
    • Historia e lirisë, është historia e kufijve të pushtetit të Shtetit
      - Woodrow Wilson
    • Shteti. cilido që të jetë, është funksionari i shoqërisë.
      - Charles Maurras
    • Një burrë shteti i talentuar duhet të ketë dy cilësi të nevojshme: kujdesin dhe pakujdesinë.
      - Ruggiero Bonghi